BOZZA NON CORRETTA

COMMISSIONE VIII
AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 17 luglio 2003


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIETRO ARMANI

La seduta comincia alle 14,30.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Audizione di rappresentanti dell'Istituto superiore di sanità.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla valutazione degli effetti dell'esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, l'audizione di rappresentanti dell'Istituto superiore di sanità, ai quali do immediatamente la parola.

PAOLO VECCHIA, Dirigente di ricerca del laboratorio di fisica dell'Istituto superiore di sanità. Dirigo il settore radiazioni non ionizzanti del laboratorio di fisica dell'Istituto superiore di sanità. In primo luogo porto le scuse del professore Grandolfo che non ha potuto partecipare all'audizione.
Intendo presentare non solo valutazioni personali o strettamente dell'Istituto, ma un quadro delle conoscenze della comunità scientifica, generalmente definito la «voce» della scienza.
Si è creato un enorme equivoco, su cui si sono espresse molte persone e si sono avute valutazione dissenzienti. Ciò è indubbiamente logico ed anche positivo, ma è importante capire l'entità del dissenso, chi sia titolato a parlare e quale sia il peso ed il ruolo delle diverse voci. Si è creata una sensazione, se non una convinzione che esista un totale dissenso all'interno della comunità scientifica, divisa tra due comunità contrapposte, dello stesso peso, della stessa consistenza e valore scientifico.


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Un comitato di esperti nominato dal Governo italiano nel febbraio del 2002 ha presentato un rapporto in cui si faceva presente che le valutazioni nazionali ed internazionali di scienziati indipendenti sono riconosciute dalla comunità scientifica come le più qualificate a fornire informazioni attendibili e scientificamente sostenibili. Nel rapporto si sostiene che i pareri individuali, anche quando forniti da scienziati, non sono attendibili come quelli offerti da comitati multidisciplinari di esperti. Gli stessi concetti sono stati espressi anche da organizzazioni internazionali, consapevoli, ad esempio, che sono state espresse opinioni personali presentate come parere di esperti. Si ritiene, tra l'altro, che alcune di queste opinioni siano contrarie al punto di vista della maggioranza degli scienziati del settore.
Per fare maggiore chiarezza occorre distinguere nettamente le conoscenze relative ai campi cosiddetti a bassa frequenza, come gli elettrodotti, ma anche elettrodomestici, e quelle riguardanti i campi ad alta frequenza, come televisione, radio, telefonia cellulare e telecomunicazioni in genere.
Per quanto riguarda il primo settore, si è raggiunto un consenso. L'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), nel 2001, ha classificato i campi magnetici a bassa frequenza come possibilmente cancerogeni per l'uomo. Il problema è comprendere cosa ciò significhi. La conclusione è basata su dati relativamente labili e la stessa IARC precisa che l'espressione «possibilmente cancerogeno per l'uomo» significa che una spiegazione in termini di causalità è credibile, ma non si può escludere che altre siano le cause degli effetti osservati. Sulla base di ciò spetterà alla politica scegliere le misure da adottare.
Diverso è il caso dei campi ad alta frequenza, su cui, anche se manca ancora un documento formale dell'IARC, si è


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raggiunto un consenso della comunità scientifica estremamente elevato, che indica, contrariamente alla percezione generale dei cittadini, una totale assenza di evidenze di effetti nocivi. L'Organizzazione mondiale della sanità, già nel 1998, affermava, che in base ad una propria valutazione e revisione dell'intero corpo della letteratura scientifica, non vi fosse alcuna evidenza convincente che l'esposizione a campi elettromagnetici a radiofrequenza abbreviasse la durata della vita umana né che inducesse o favorisse il cancro.
Tale valutazione riguarda tutti campi ad alta frequenza e, in modo particolare, quelli della telefonia cellulare, su cui in anni recenti, successivamente alla documentazione appena citata, sono stati pubblicati importanti lavori scientifici, che hanno indicato una totale assenza di effetti tumorali. L'Organizzazione mondiale della sanità ha ribadito il proprio parere e l'Istituto svedese per la protezione dalle radiazioni, che ha fornito una valutazione estremamente recente risalente al novembre 2002, sostiene che nel complesso gli studi epidemiologici e di laboratorio abbiano escluso, con ragionevole grado di certezza (si tratta di elementare prudenza scientifica, non appartenendo la certezza alla scienza) che i telefoni cellulari provochino il cancro, almeno per la durata d'uso fino a cinque anni, quella fino ad oggi sperimentabile.
Se ciò è vero per i telefoni cellulari, ancora più nette sono le conclusioni per ciò che costituisce, oggi, motivo di maggiore preoccupazione per i cittadini, cioè le stazioni radio base, le quali invece emettono minori radiazioni. Una commissione del Parlamento francese ha pubblicato un ampio rapporto in cui si fa presente che la maggior parte delle persone che si oppongono alle stazioni radio base usano i telefoni cellulari e


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li lasciano usare ai propri bambini, non comprendendo che, se esiste un rischio, esso è a livello di cellulari, che provocano un'esposizione molto più elevata.
Quando si parla di stazioni radio base bisogna essere consapevoli del fatto che ci troviamo dinanzi ad una sorgente che emette bassi livelli di un agente di cui nessuno studio ha provato la pericolosità. Ciò ha portato molte agenzie a valutazioni abbastanza categoriche. Nel 1997 l'Istituto svedese già citato sosteneva che le stazioni radio base non costituissero un rischio per quanto riguarda la protezione dalle radiazioni. Nel 1999, in Canada si sosteneva che non vi fosse alcun aumento coerente di rischio per la salute, essendo le stazioni radio base d'intensità talmente bassa da non lasciar prevedere effetti nocivi per la salute.
Nel 2000 il Consiglio sanitario nazionale dell'Olanda sosteneva che l'eventualità che possano verificarsi effetti presso stazioni radio base è trascurabile. Nel 2000 il famoso rapporto Stewart concludeva che il complesso delle evidenze indica che non vi sia alcun rischio per la popolazione che vive vicino a stazione radio base. Infine, nel marzo 2003, l'Agenzia francese per la sicurezza e la protezione ambientale sostiene le seguenti conclusioni: l'esposizione della popolazione alle onde delle stazioni radio base non dà luogo ad alcun rischio per la salute, confermando un precedente rapporto del 2001.
Si tratta di valutazioni che vanno dal 1997 al 2003. Nel 1996 il nostro Istituto ha pubblicato un documento in cui affermavamo che i risultati della ricerca scientifica allora noti non suffragassero alcuna ipotesi di effetti a lungo termine dei campi elettromagnetici. Lo affermo oggi con l'orgoglio di essere stati tra i primi nel mondo ad averlo sostenuto, ma anche con l'amarezza di non essere stati ascoltati.


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A questo punto si pone il problema di cosa fare. Chiaramente questi risultati non escludono la messa in atto, se si volesse, di misure di prudenza e di precauzione. È importante che queste siano adottate con equilibrio e saggezza e in questo riteniamo che ancora una volta la scienza e la tecnica possano dare il loro contributo. In particolare, per chiarire un ultimo fraintendimento, bisogna essere consapevoli, come sottolinea il rapporto della commissione parlamentare francese, che reclamare l'allontanamento o l'eliminazione delle stazioni radio base non può che aumentare l'esposizione tanto dei telefoni cellulari quanto delle stazioni radio base.

PRESIDENTE. Quanto più è lontana l'antenna, tanto più deve essere forte?

PAOLO VECCHIA, Dirigente di ricerca del laboratorio di fisica dell'Istituto superiore di sanità. Deve essere forte perché il telefonino deve gridare per farsi sentire per le ragioni che dicevo prima. Siccome l'esposizione del telefono è nettamente superiore, intendo 100-1000 volte, a quella delle stazioni radio base, un suo aumento ha un effetto sicuramente non comparabile.
È significativo in proposito quanto accaduto in una scuola di Marsiglia, che aveva ottenuto lo smantellamento di un'antenna installata sul suo edificio, ma ha constatato che il livello di radiazioni misurate nel cortile era cresciuto in seguito a questa operazione per l'aumento delle emissioni delle antenne vicine.
In base a questo la Francia - non voglio con questo dire che debba essere necessariamente la strada da seguire, ma la indico come possibile soluzione politica - ha abolito per le stazioni radio base il concetto dei cosiddetti siti sensibili, perché non si vede una apparente giustificazione per la


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specificità dei siti sensibili, essendo la sensibilità legata alla percezione del rischio e non ad un rischio sanitario identificato. La raccomandazione precedente, ossia di mantenere le antenne lontane dai siti sensibili, che mirava a rassicurare, ha sortito l'effetto opposto, aumentando le preoccupazioni. Questo potrebbe essere il caso dell'Italia.
Concludo rilevando che esistono dati scientifici, che non abbiamo il tempo di analizzare dettagliatamente, che evidenziano ciò che del resto sembra essere sotto gli occhi di tutti. A fronte di problemi ancora sul tappeto, in larga misura ipotetici, esiste un problema reale di percezione del rischio con conseguenze sanitarie certe in termini di stato di ansia, tensioni sociali e ciò che ne consegue per la salute. Questo problema si collega strettamente con quello della corretta comunicazione del rischio.

PRESIDENTE. Questo vale per le basse frequenze?

PAOLO VECCHIA, Dirigente di ricerca del laboratorio di fisica dell'Istituto superiore di sanità. Questo concetto vale per tutto e sicuramente vale per le alte frequenze. La gente è terrorizzata delle stazioni radio base a fronte dei dati scientifici che sono quelli che abbiamo visto.

PRESIDENTE. C'è una psicosi collettiva!

PAOLO VECCHIA, Dirigente di ricerca del laboratorio di fisica dell'Istituto superiore di sanità. C'è sicuramente - non vorrei usare termini categorici, spetta a psicologi e psichiatri stabilire se si possa parlare o meno di psicosi - una percezione del rischio da parte del pubblico, riconosciuta a livello internazionale, che è molto diversa dalla valutazione che dello stesso dà la comunità scientifica.


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PRESIDENTE. Quanto lei ha detto è molto interessante perché mi ricorda la peste di Manzoni e le vicende degli untori. È una psicosi che si crea su un problema, spesso cavalcato anche dai politici, che determina situazioni di tensione, nonostante la realtà e la scienza abbiano dimostrato che non vi sono pericoli.
Viceversa per le basse frequenze, ammesso che ci possano essere dei riflessi negativi per la salute - e mi pare che questa sia anche la vostra linea - questa pericolosità nasce da fenomeni di dispersione dell'energia che si determinano in corrispondenza dei tralicci?
Noi siamo forti importatori di energia elettrica dall'estero, importando il 17 per cento di energia nucleare dalla Francia, dalla Svizzera e dall'Austria. Il trasporto dell'energia - come mi è stato riferito da qualche tecnico del settore - determinerebbe fenomeni di dispersione, che si concentrano in modo particolare in alcuni punti e che si potrebbero combattere introducendo tecnologie più avanzate negli scambiatori che caratterizzano i tralicci. Supponendo che la dispersione di energia in corrispondenza dei tralicci venisse completamente cancellata da eventuali nuovi apparati tecnologici più moderni ed avanzati, capaci di eliminare tali dispersioni, ciò potrebbe attenuare gli eventuali pericoli da voi identificati o bisogna affrontare l'interramento di tutti gli elettrodotti? Come lei capisce, questo costerebbe delle cifre inavvicinabili anche dal punto di vista di un paese mediamente dotato di risorse come l'Italia.

PAOLO VECCHIA, Dirigente di ricerca del laboratorio di fisica dell'Istituto superiore di sanità. La domanda è estremamente tecnica e un elettrotecnico potrebbe rispondere meglio di me. Purtroppo per il paese, l'ipotesi valida è la seconda. Questi campi non sono creati per effetto di dispersione, ma


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sono campi magnetici che si creano comunque e che sostanzialmente non possono essere schermati. L'interramento risponde a queste esigenze anche per quello che comporta dal punto di vista tecnologico. Però, oltre ai costi elevati che esso comporta, sicuramente non risolverebbe il problema al cento per cento, perché si creano dei campi con un raggio di azione più limitato, ma che addirittura nelle immediate vicinanze (siccome i cavi sotto terra non si trovano a venti metri, come gli aerei che volano a venti metri di altezza), possono anche essere più elevati.

PRESIDENTE. Quanto dovrebbe essere ampia l'area di sicurezza intorno al traliccio?

PAOLO VECCHIA, Dirigente di ricerca del laboratorio di fisica dell'Istituto superiore di sanità. Nel caso di un cavo interrato ci si può limitare ad una decina di metri per parte.

PRESIDENTE. E nel caso del traliccio?

PAOLO VECCHIA, Dirigente di ricerca del laboratorio di fisica dell'Istituto superiore di sanità. Questi campi diminuiscono con continuità, quindi si tratta semplicemente di scegliere un valore ottimale. Il problema al quale si ritorna sempre è quello del rapporto costo/beneficio. Il buon senso suggerisce l'ipotesi che anche gli effetti cancerogeni siano in qualche modo legati all'intensità. Più alta è l'intensità e più alto è il rischio, seppur ipotetico. Occorrerebbe disporre di questi dati e fare un bilancio del rapporto costi/benefici. So che il ministro Matteoli ha già presentato un progetto basato su dati più certi e provenienti da competenze professionali valide.

DONATO GRECO, Dirigente di ricerca e direttore del laboratorio di epidemiologia e biostatistica dell'Istituto superiore di sanità.


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Nella mia veste ho dovuto toccare questo argomento più di una volta, perché riceviamo una serie continua di richieste da parte dei comitati che sorgono tra la popolazione che ci chiedono di verificare l'eventuale aumento di incidenza della mortalità per varie cause (tumori o altro) e della malattia. Questo è un lavoro che facciamo regolarmente perché in un anno giungono parecchie decine di queste richieste anche da parte di enti pubblici.
Come ha detto bene il dottor Vecchia, l'evidenza scientifica di assoluta negazione di un effetto sulla salute dei campi elettromagnetici ad alta frequenza è superiore all'evidenza scientifica di molti altri settori. Abbiamo migliaia di studi che dimostrano che manca un effetto negativo sulla salute; non manca l'evidenza scientifica e dire che essa è insufficiente significa affermare il falso.
Per quanto riguarda i campi a bassa frequenza, voglio ricordare che un arbitrario ma significativo calcolo italiano, eseguito dalla Commissione nazionale presieduta da un premio Nobel, aveva rilevato che se ci fosse un'associazione con la leucemia, per esempio, si potrebbe correre il rischio di avere un caso in più all'anno in tutto il paese. Qualsiasi variazione del rischio difficilmente sarebbe misurabile in termini di variazione di quel caso. L'effetto sulla salute probabilmente sarebbe invisibile. Questo problema riveste tutta l'area dei campi magnetici.

PRESIDENTE. Per le basse frequenze, in particolare?

DONATO GRECO, Dirigente di ricerca e direttore del laboratorio di epidemiologia e biostatistica dell'Istituto superiore di sanità. Si tratta di un problema che investe tutta l'area. Purtroppo, sono stato coinvolto, in maniera violenta, nell'episodio di Radio vaticana, quando il Governo voleva togliere la


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corrente all'impianto di detta emittente. Abbiamo condotto un'indagine, che è allegata agli atti...

PRESIDENTE. Quelle di Radio vaticana erano antenne...

DONATO GRECO, Dirigente di ricerca e direttore del laboratorio di epidemiologia e biostatistica dell'Istituto superiore di sanità. Era un megaimpianto di antenne radio.

PRESIDENTE. Di antenne radio non di bassa frequenza?

DONATO GRECO, Dirigente di ricerca e direttore del laboratorio di epidemiologia e biostatistica dell'Istituto superiore di sanità. Di alta frequenza.

PRESIDENTE. Siamo, quindi, sempre nell'ambito della psicosi?

DONATO GRECO, Dirigente di ricerca e direttore del laboratorio di epidemiologia e biostatistica dell'Istituto superiore di sanità. Sistematicamente, ogni volta che operiamo indagini scientifiche - come ha già detto il collega, dottor Vecchia - ci troviamo di fronte ad un problema di metodo.
Infatti, molti metodi epidemiologici di studio oggi alla nostra portata non sono adeguati a rilevare fenomeni nel modo con cui sono presentati. Ad esempio vi sono studi di mortalità - noi li classifichiamo ecologici - in cui si rileva quanti morti di un determinato evento patologico - come, ad esempio, di leucemia - vi sono in una certa area geografica ed immediatamente li si mettono in relazione ad una misura di campi elettromagnetici. Tali studi non forniscono mai la verità, perché, metodologicamente, non hanno il potere statistico di rilevare l'effetto. Perciò, alla fine, ciò che scaturisce da tali tipi di studi, mal condotti, è il dubbio e non una risposta, positiva o negativa che sia.


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Specialmente in Italia, nutriamo tanti dubbi, che sono quelli che hanno alimentato tale falsa percezione di rischio che tutti gli studi appropriatamente condotti e pubblicati dalla comunità scientifica negano. Vi è una sorta di do it yourself, di far da sé dell'attività di ricerca epidemiologica che, specialmente in Italia, è in crescita. Qualsiasi regione, provincia o comune acquisisce dati di mortalità, che oggi sono disponibili - anche grazie a noi - su Internet, e afferma: «vi è un cluster di tumori nella mia area, poiché è presente la fabbrica x, la stazione radio y o l'impianto z».
Ciò, purtroppo, sebbene non raggiunga mai un livello di approvazione scientifica - si tratta, spesso di dati non pubblicati, materiale che noi definiamo «grigio» - è più che sufficiente ad alimentare una falsa percezione. È una percezione che trova basi filosofiche e culturali nel «mistero» della radiazione. Che vi è di meglio del pensare che onde invisibili facciano male alla salute? Tutti abbiamo potuto costatare che se si mette un pollo in un forno a microonde esso lo cuoce. Perché non pensare che succeda lo stesso al nostro cervello, in prossimità ad un telefonino o ad una stazione radio?
Vi è tale sorta di percezione, che oserei definire «magica», la quale non ha nulla a che vedere con la scienza. Essa, però, crea danno, poiché - come già detto - fa lievitare immensamente i costi pubblici, distraendo fondi da destinazioni più proficue. Vi sono, infatti, molti enti locali che pongono in essere operazioni improprie. Alcune regioni hanno legiferato addirittura in assenza di quadri nazionali di riferimento.

PRESIDENTE. Semplicemente sul fumus...

DONATO GRECO, Dirigente di ricerca e direttore del laboratorio di epidemiologia e biostatistica dell'Istituto superiore di sanità. Sono esempi clamorosi. Lo hanno fatto dettando criteri


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di precauzione notevolmente più alti di quelli suggeriti a livello internazionale. Ciò anche grazie ad un uso distorto del principio di precauzione che - lo dice un ricercatore non più giovane - è la negazione della scienza. Quando non si sa che affermare, si dice: «usiamo il principio di precauzione». Si tratta di un'ipocrisia: si adottano decisioni, nonostante non vi sia l'evidenza scientifica.
L'episodio di Radio vaticana è stato indicativo, in tal senso. Ha determinato problemi internazionali. Vi sono famiglie che hanno perso bambini, a causa della leucemia, ma ciò, purtroppo, avviene ogni giorno, nel nostro paese. Non sappiamo nemmeno bene perché, in quanto l'eziologia di tale patologia non è nota. Drammi del genere accadranno ancora, poiché le indagini non risolvono i casi di leucemia.
La percezione di cui si è detto si autoalimenta. A mio avviso, non bisogna più discutere sull'assenza di evidenza del rischio per la salute dei campi ad alta frequenza e su quello, appena misurabile, dei campi a bassa frequenza. Di fronte a noi si prospetta, invece, un mostro: si tratta proprio della menzionata percezione, che determina numerosi problemi e richiede un livello di comunicazione che, probabilmente, fino ad ora, non vi è stato. In Italia è diffusa una cultura dell'inverosimile. Probabilmente ricorderete episodi quali il caso Di Bella, in cui lo Stato si è impegnato a dimostrare l'ovvio.
Non vogliamo pertanto continuare a condurre ricerca scientifica su temi sui quali l'evidenza è palese. Mi sembra che la documentazione scientifica in merito al problema sia disponibile; non è solo nelle nostre tasche, ma si può quasi integralmente scaricare da Internet. Qualsiasi cittadino che conosca un po' l'inglese può avere accesso ad un'amplissima documentazione.


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I modelli di studio sono, spesso, condotti da gruppi non qualificati o da colleghi «protagonisti», che cavalcano un settore di alto impatto comunicativo quale quello in esame. Nel nostro paese, si fa bella figura a fare denunzie ambientali, indipendentemente dal metodo.
I metodi usati in Italia, e spesso, purtroppo, anche all'estero, sono originariamente insufficienti a fornire risposte adeguate. Essi portano conseguentemente al sorgere di dubbi.
È esattamente ciò che non si deve fare...

PRESIDENTE. Naturalmente, coloro che cavalcano la psicosi hanno tutto l'interesse alla diffusione del dubbio.

DONATO GRECO, Dirigente di ricerca e direttore del laboratorio di epidemiologia e biostatistica dell'Istituto superiore di sanità. Signor presidente, vorrei concludere, sottolineando il momento comunicativo.
In Italia abbiamo coniato parole non esistenti nel vocabolario di altri paesi, come elettrosmog. Si è, dunque, creata una cultura che ha trovato anche alimentazione politica e normativa; ripeto, non mi riferisco solo alle norme statali ma anche a quelle, numerosissime periferiche. In piena autonomia, regioni, provincie e comuni hanno dettato norme, indipendentemente dall'attività scientifica.
La nostra rimane, spesso, una voce inascoltata, quasi di supporto al «padrone», al Governo, a chi detiene il potere della comunicazione, dell'elettricità o dei telefoni.
La nostra forza è, invece, proprio l'indipendenza scientifica da qualsiasi contaminazione.
Al di là della necessità di operare ricerca, la stessa Organizzazione mondiale della sanità afferma che, allo stato


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attuale, la conoscenza è più che sufficiente per conclusioni operative, mentre è necessario investire nel recupero del momento informativo alla popolazione.

PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15.